Castello di Sacuidic

Nei pressi di Andrazza, partendo dalla sede della Protezione Civile, in circa 20 minuti di cammino si raggiungono i resti di questo affascinante castello alto-medievale, messo in luce per la prima volta dall’archeologo Alexander Wolf alla fine del 1800 e successivamente riscoperto da una associazione locale e poi dall’Università di Venezia, che dal 2004 al 2008 ne riuscì a recuperare una buona parte. Le campagne di scavo hanno portato alla luce numerosi reperti e hanno reso possibile la datazione del castello, la cui storia si è sviluppata dal XII al XIV secolo.

Nel primo periodo ha avuto il ruolo probabilmente di vedetta ed è stato usato per sorvegliare i transiti lungo la strada sottostante, che correva a ridosso del fiume, dove passavano truppe, carovane di merci e pellegrini verso il passo della Mauria e dove numerosi mercanti erano spesso vittima dei briganti; si pensa che una piccola guarnigione militare fosse qui impegnata in attività di difesa armata di chi passava in questo territorio, forse in cambio della riscossione di un dazio di transito. In una seconda fase di vita, negli anni iniziali del Duecento, venne costruita adiacente alla torre una residenza, cioè uno spazio abitativo comprendente un seminterrato usato per lo stoccaggio delle riserve alimentari, un piano nobile di rappresentanza, un piano residenziale e una piattaforma di guardia coronata di merli.

Si presume che il castello ospitasse una ventina di persone: una quindicina di armigeri o servi e cinque o sei persone di origine nobile, probabilmente feudatari o capitani dei signori di Nonta di Socchieve, che in quel periodo governavano il territorio di Forni per conto del Patriarcato di Aquileia. Dopo la costruzione di una seconda cinta muraria lungo il versante settentrionale e la realizzazione di un nuovo ingresso, la vita di Sacuidic terminò con la distruzione della struttura nel XIV secolo a causa di un rovinoso incendio, che ne determinò il crollo: fra i reperti salvatisi dall’incendio sono stati rilevati diversi lingotti, cerchi di metallo utilizzati per coniare monete false di rame coperte d’argento, che non lasciano alcun dubbio sul fatto che il castello fosse diventato una zecca clandestina.

Le monete false veneziane e veronesi rinvenute erano realizzate con tale cura e così perfettamente conservate da trovare pochissimi confronti altrove, e da rendere difficile distinguere tra esemplari falsi ed autentici. Non si sa se l’incendio fu causato da un incidente nella lavorazione dei metalli o fu doloso, e magari voluto dai Savorgnan, la nuova famiglia che nel 1326 acquisì la proprietà del territorio, e che forse volle porre fine all’attività clandestina: di sicuro però con la distruzione della zecca clandestina, si concluse pure la vita del maniero. Al suo interno sono stati trovati numerosi reperti: quasi 2000 frammenti di recipienti di ceramica e bicchieri di vetro, punte di frecce ed altri oggetti di valore, che inducono a pensare ad una precipitosa fuga da parte dei falsificatori che vi abitavano.

Nello strato carbonioso sono stati rinvenuti anche frammenti di placche e corazze, cuspidi per archi e balestre, fibbie da cintura, due coltelli, due applique per decorare libri, un’ascia da carpentiere, uno scalpello, una quarantina di chiodi, un piccolo dado in osso per giocare e un pezzetto di una maglia ad anelli, in ferro o acciaio; è stata ritrovata anche una corazza rovinata, che è la più antica testimonianza di armamento corazzato mai scavata in Italia.